• Guardala qui, questa città, la mia:

    E’ in riva al Tejo che io cerco Campetto,

    Nel Barrio Alto ho trovato Castelletto,

    O un Cable Car su in vico Zaccaria

    Vedilo il mondo: in Genova è raccolto

    A replicarne un po’ la psiche e il volto:

     

    Edoardo Sanguineti

     

     

     

     

    S’inaugura, sabato 1 ottobre 2011 alle ore 17:00, presso SATURA art gallery, Piazza Stella 5/1 Genova, la mostra “Città/Mondo/Immagine” di Ilio Galletta. La mostra, a cura di Giuliano Galletta, rimarrà aperta fino al 15 ottobre 2011 con orario dal martedì al sabato 15:30 – 19:00.

     

    Ilio Galletta è mio cugino. I nostri padri erano fratelli, tutti e due camalli della Compagnia Unica. Nel romanzo famigliare lui era senza dubbio il più intelligente, fra noi ragazzi, al punto che in qualche occasione cercò anche di insegnarmi la matematica, impresa, però, superiore alle forze di chiunque. Ad un certo punto la passione giovanile di Ilio (concedetemi di chiamarlo per nome) per la fotografia lo ha trasformato in un testimone della cronaca, forse della storia, quando, venticinquenne, il 26 marzo del 1971, fotografò la fuga di Mario Rossi, che aveva appena ucciso per rapina il fattorino Alessandro  Floris.

     

     

    Scatti che hanno fatto il giro del mondo che vengono ancora oggi commentati e discussi nei manuali di fotogiornalismo e nei libri sugli anni di piombo, ma che per lui furono fonte di problemi di ogni genere. In quell’occasione verificai in prima persona certi meccanismi dell’informazione ha raccontato recentemente in una bella intervista alla giornalista di Repubblica, Donatella Alfonso, in cui sono ricostruiti quei drammatici momenti  che non mi piacquero per niente, fu probabilmente allora che decisi  che non avrei fatto né il fotografo professionista né tantomeno il giornalista. La vita di Ilio prende quindi un’altra strada, con una laurea in Economia, diventa ricercatore all’Ilres, studia informatica, materia che insegnerà all’università, prima di diventare imprenditore del settore. Ma l’amore per la fotografia non era certo finito in quel tragico venerdì e per i successivi quarant’anni Ilio ha continuato a guardare la realtà attraverso il mirino di una (o meglio, di tante) Leica e i suoi cassetti si sono lentamente, ma inesorabilmente riempiti di immagini, finché un giorno, non molto tempo fa, Ilio ha scoperto la pittura. Ha scoperto cioè che una cornice poteva assomigliare a quel mirino, che un frammento di luce poteva diventare un grumo di colore, che un tramonto ha la sua intrinseca geometria,  una vetrina illuminata nella notte è un collage fantasmagorico,  un selciato materia manipolabile.

     

    Fotografia e pittura sono state storicamente “nemiche”. Quando, alla metà dell’Ottocento, la prima ha iniziato a imporsi sullo scenario della riproducibilità del reale la seconda è stata obbligata a cambiare statuto, dando inizio alla grande stagione delle avanguardie; ma la pittura “astratta”, usando la definizione in termini generalissimi, ha a sua volta contribuito a cambiare la fotografia, in un incontro-scontro che prosegue tuttora. Sembra proprio esserci questo continuo dialogo al centro del lavoro di Ilio, così come ci viene proposto in questa mostra. Rileggere le proprie fotografie con lo sguardo del pittore ha permesso all’autore di attribuirgli nuovi significati, le immagini hanno operato uno scambio di senso reciproco che ha reso possibile, e giustifica oggi,  la loro “esposizione”, il loro percorso, il loro racconto. Un viaggio che potrebbe incominciare da qualsiasi punto.

     

    A chi scrive piacerebbe partire,ad esempio,  da Sottoripa. Lì, infatti, a  giudizio di alcuni, alberga il genius loci di Genova.  Principalmente a causa del profumo: fondato sul baccalà fritto ma in cui si mescolano altre fragranze, dalla frutta secca allo Chanel taroccato, ma non solo. Ci sono le luci o meglio le ombre di Sottoripa e poi naturalmente, i suoni, le voci: Anche per Ilio un muro di Sottoripa può essere un buon incipit, fisico e mentale.  Prima tappa di un viaggio che lo riporterà comunque sempre a casa, nei vicoli dove entrambi siamo cresciuti, nel nostro ambiente “naturale”, da Salita del Prione a Via Canneto il Curto, da via Madre di Dio a Santa Maria in Passione. Ogni viaggio, è evidente, ha riportato Ilio qui, ricco di un bagaglio di esperienza – visiva e non solo - che l’hanno aiutato  a capire meglio i muri, i selciati. le vetrine di quella città/mondo di cui parla Edoardo Sanguineti nella sua poesia.

    Un luogo casalingo, materno, talmente famigliare da diventare spesso estraneo, perturbante. Un luogo che bisogna ogni volta saper riconquistare, con un paziente lavorio intellettuale e con la giusta dose di autoironia.   (Giuliano Galletta)