• S’inaugura sabato 5 maggio 2012 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “L’inafferrabile della bellezza” di Renzo Maggi a cura di Roberto Valcamonici. La mostra resterà aperta fino al 19 maggio 2012 con orario 15.30 – 19.00 dal martedì al sabato.

     

    Maggi, classe 1944, si diploma nel ’61 all’Istituto d’Arte Stagio Stagi di Pietrasanta, proseguendo il proprio apprendistato sotto la guida di Leonida Parma. Dopo un breve periodo trascorso a Milano, dove incontra e collabora con gli scultori Vincenzo Gasperetti e Gigi Supino, si trasferisce in Svizzera dove si dedica alla scultura e alla pittura. In quegli anni dirige anche un quindicinale di politica e cultura in lingua italiana. Nel 1992 rientra in Italia. Sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private in Europa, Stati Uniti, Canada, Australia, e India.

    Per Renzo Maggi la sorgente di ispirazione artistica è la Bellezza, e cioè l'armonia e la leggiadria delle forme, l’espressione sublime dell'arte classica che mira alla perfezione assoluta, guardando alla natura. La poetica impregnata del mito greco-ellenista delle sue opere deve molto alla purezza del marmo dalla quale egli fa nascere il suo straordinario virtuosismo espressivo. Nelle opere di Maggi, come nella scultura greca, vi è la ricerca di una bellezza che si compie in fattezze e sembianze di “nobile semplicità” e “quieta grandezza”, tipiche dell’arte classica. Da questo equilibrio perfetto si discosta solo per la presenza di elementi di soggettività che non possono evidentemente mancare nel modo di essere di qualsiasi artista contemporaneo.

    Maggi è un artista che opera al di fuori di ogni corrente, in solitudine e con un’energia che ha del prodigioso. Con la sua scultura ci ripropone in maniera decisiva, perentoria e abbagliante, l’enigma della bellezza che ci giunge, come nelle sue Afroditi e nelle ultime opere le “Donne-Luna”, venata da una sottile melanconia, come ogni spettatore sensibile non manca di percepire.

    Sottili scaglie di statuario purissimo della Cava delle Cervaiole, la storica cava della Henraux sul Monte Altissimo dove lo stesso Michelangelo si approvvigionava dei suoi marmi, danno origine ai suggestivi “stiacciati” delle sue “Donne-Luna”. Come se soltanto dinnanzi all’amoroso sguardo di Selene l’uomo potesse ritrovare quella giusta disposizione d’animo che gli consente di tornare a contemplare e a riflettere.

    Renzo Maggi, che è da poco tornato dall’Alabama (Stati Uniti) dove è stato invitato a tenere un seminario di scultura al “Sylacauga Marble Festival” in quanto delegato dalla città di Pietrasanta a rappresentare la tradizione e la cultura della lavorazione del marmo, è comunemente noto e ammirato per la sua grande versatilità, che dice non solo di come plasma la materia, ma pure dell’abilità di riassumere tutte le fasi che portano al compimento dell'opera, nessuna esclusa. Il suo modo di lavorare fa pensare alla vecchia bottega rinascimentale dove i grandi maestri realizzavano i loro capolavori, con la sola strabiliante differenza che Renzo Maggi vi lavora da solo, riassumendo su di sé tutti i diversi ruoli. L’eredità del sogno di marmo Maggi l’ha acquisita grazie a un’ansia pratica, rubando il mestiere a vista, faticando senza sosta. Egli é tra i pochi che, oggi, scolpisce quasi sempre senza un preliminare studio a tavolino perché, come dice, “è il marmo che lo guida”.

    Quando parla degli scultori che ama di più, tra cui annovera tutti i grandi greci e poi Michelangelo, Bernini, Marino Marini, Picasso, Boccioni, è difficile non sentirgli ripetere che per Canova nutre una “rispettosa indifferenza” e che il Bernini gli sta rovinando l’esistenza perché la leggerezza della sua scultura, come Il Ratto di Proserpina e Apollo e Dafne, gli ha rimesso tutto in discussione. E ancora, quando nel parlare dei suoi lavori si capisce chiaramente che non vuole esprimere preferenze perché li considera tutti sue creature; lui scultore, paradossalmente, un legame particolare sembra averlo con i suoi disegni, anche quelli di scuola, perché li considera, come dice, “un po’ le lettere d’amore che tutti conserviamo gelosamente nel cassetto”. E quando spiega che il ritratto, tra le sculture, è per lui il luogo dove può esprimere il “sacro”, perché gli ha dato modo di penetrare profondamente lo studio del volto come centro dell’anima.

    Le sue frequenti collaborazioni con il mondo dell'architettura attraverso l’Henraux, lo portano giustamente a sottolineare che per migliorare le condizioni del vivere di oggi, l’architetto e lo scultore devono rendere complementari i loro obiettivi di costruire e di abbellire. Per questo, la sua scultura è diventata nel tempo più leggera, “smaterializzata”, una scultura che, per dimensione, peso e ingombro, può essere meglio fruita negli spazi spesso limitati delle case contemporanee.